LA SINDROME DEL NIDO VUOTO

Qualcuno una volta ha detto “se ami qualcuno devi lasciarlo andare”..si ma quanto è difficile per un genitore quando il proprio figlio, naturalmente, se ne va per creare una propria famiglia o semplicemente una propria indipendenza?

DI COSA SI TRATTA?

Questa espressione, è stata coniata da psicologi e sociologi americani negli anni ’70 e indica quello stato di tristezza e abbandono che molti genitori soffrono nel momento in cui i figli vanno via di casa imponendo una decisiva modificazione del nucleo familiare e dell’assetto generazionale.La  gioia dell’essere testimoni della realizzazione dell’indipendenza dei propri figli non esclude infatti vissuti di perdita e di abbandono perchè quell’assetto che fino ad allora consentiva quel ruolo di accudimento genitoriale, naturalmente si modifica.

I PICCOLI LUTTI DEI GENITORI

L’indipendenza dei figli verso i propri genitori non è uno stato che si acquisisce improvvisamente. Di fatto, il mestiere di genitore è fondato su una serie di tappe intermedie che vedono i figli, prima bambini e poi ragazzi, attraversare via via passaggi di autonomia che impongono ai genitori di attraversare una serie di piccoli lutti, di “perdite” affettive che si accompagnano con la altrettanto naturale fierezza per le conquiste dei propri figli.  E’ la naturale ambivalenza degli affetti umani.

“La sindrome del nido vuoto può essere una fase della vita da attraversare e superare con rinnovate energie se rivisitata come un possibile nuovo inizio invece che come inesorabile perdita. D’altra parte, fin, dalla nascita, attaccamento e separazione sono due polarità interdipendenti che organizzano entrambe la vita e le relazioni di una persona, inclusa quella fra genitori e figli.  E’ proprio grazie alla sensazione di avere una “base sicura” che il bambino si permette la gioia di muovere i primi passi ed esplorare il mondo allontanandosi dalla madre; le cure e l’affetto di un genitore hanno come fine ultimo quello di rendere un figlio forte abbastanza ad andare via sulle proprie gambe.” (Rheingold e Eckerman, 1970).

I vostri figli non sono figli vostri… sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti. L’Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane. Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell’Arciere, poiché egli ama in egual misura le frecce che volano e l’arco che rimane saldo. “(Kahlil Gibran, “Il Profeta”)

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